I Cibi Industriali

Le case produttrici spendono milioni in pubblicità, ma il problema dei pesticidi non può essere risolto con il baby food. Serve un’alimentazione sana per tutti, grandi e piccoli, a base di prodotti di qualità e a filiera corta

Poniamoci una domanda: è davvero meglio il baby food? Perché più adatto? Perché non contiene pesticidi? Perché più sano?
Spesso si sono spese parole a favore di questo tipo di prodotti, ma non ci sono evidenze scientifiche che li facciano ritenere migliori di una sana dieta mediterranea.

E i pesticidi?

I pesticidi sono nell’acqua, nell’aria nella polvere.
Si usano pesticidi per la coltivazione delle piante in casa e in giardino; perciò se ne ritrovano tracce nel sangue anche di chi sceglie di alimentarsi con prodotti derivanti da agricoltura biologica.

Certamente l’uso di baby food diminuisce l’ingestione di prodotti antiparassitari, ma anche i cibi industriali potrebbero venire da Paesi esterni all’Unione Europea, in cui la legislazione è meno restrittiva, inoltre per ragioni commerciali possono contenere additivi o conservanti sicuramente assenti dai cibi freschi.

Mangiar bene tutta la famiglia

Il periodo più vulnerabile per il bimbo all’ingestione di sostanze dannose è la vita intrauterina, il periodo neonatale e nei primi mesi di vita: periodi tutti precedenti allo svezzamento (l’età del baby food) o all’alimentazione complementare a richiesta (che è quella da preferire, l’epoca cioè in cui il bambino comincia a mangiare quello che si mangia in famiglia).

Alla gravidanza non si sfugge e all’allattamento al seno proprio non vorremmo rinunciare, anche se sappiamo che dove l’inquinamento è più elevato si possono trovare tracce di inquinanti nel liquido amniotico e persino nel latte materno. E allora come si fa? Non c’è che una strada, ed è quella di puntare la nostra attenzione sulla tutela dell’ambiente e del cibo di tutti: meno inquinanti per tutti, meno esposizione del feto in gravidanza e del neonato allattato al seno.

Quanto alla pubblicità, non mi meraviglio che una ditta vanti la maggiore sicurezza di questo o quello dei suoi prodotti; questo non significa però che siano veramente migliori di altri: i dosaggi e i paragoni si fanno scegliendo le sostanze che si vogliono cercare e su cui si vuole attrarre l’attenzione dei consumatori.

Senza contare che spesso si esagera sugli effetti nocivi di questa o quell’altra sostanza, per poi vedere che in effetti non era per nulla nociva !

Per  la tutela dell’ambiente va diffuso semmai  l’acquisto di prodotti alimentari da produttori qualificati, in zone vicine a quelle in cui si risiede (gruppi di acquisto, diffusione dei cosiddetti farmer’s market, in cui i produttori locali vendono direttamente ai consumatori): non solo si riduce il trasporto degli alimenti, con indubbi vantaggi per l’economia e l’ecologia, ma si favorisce un rapporto diretto e fiduciario fra consumatori e produttori che è già di per sé una garanzia ben più concreta della scelta di “alimenti speciali”.

Quello di cui bisogna  parlare, non è il baby food , ma piuttosto il junk food, il cibo spazzatura, economico e spesso anche appetibile, ma dannoso per la scarsa qualità dei suoi componenti. Perciò il nostro scopo non è quello di usare una marca di biscotti o di semolino anziché un’altra, ma quello di indurre quanti più genitori possibile ad adottare stili alimentari e di vita sostenibili.

Se raggiungessimo, anche in minima parte, questo obiettivo, ci potremmo ritenere più che soddisfatti. Con buona pace delle industrie che producono alimenti più o meno speciali e delle guerre commerciali che si fanno l’una con l’altra. 

Le regole da avere presenti sono poche e semplici: seguire un’alimentazione sana ed equilibrata che soddisfi i fabbisogni energetici e di nutrienti, fornire sostanze protettive per l’organismo, minimizzare l’esposizione a contaminanti chimici e microbiologici. L’alimentazione, inoltre, dovrebbe perlopiù essere sostenibile e avere un basso impatto ambientale.
Tutti questi princìpi, in teoria, dovrebbero essere applicati sin dalla nascita: allattamento e alimentazione complementare sono un buon punto di partenza.

Il cibo del “senza”

«Senza sale aggiunto, senza glutine, senza aggiunta proteine del latte, senza aromi, senza organismi geneticamente modificati».
Arrivati al momento del fatidico svezzamento il mercato ci propone una scelta infinita basata sul cosiddetto “baby food”, cioè alimenti industriali destinati alla prima infanzia: liofilizzati, omogeneizzati, pastine, sughi, passati di verdure, biscotti, creme di cereali, yogurt, tisane.
Spesso sui siti web o nei blog dedicati ai genitori vengono esaltate caratteristiche nutrizionali particolari di questi alimenti, facendo passare il messaggio (errato) che i cibi comuni non sono adeguati ai lattanti: «Ricco di calcio, ricco di proteine dall’alto valore biologico, ricco di ferro»; oppure, nel promuoverli, si vanta l’assenza di elementi come sale e glutine.
Il baby food simbolo è l’omogeneizzato. La funzione dell’omogeneizzazione è quella di ridurre gli alimenti in particelle molto fini che ne permettano l’assunzione senza masticazione, aumentando la digeribilità. Nato come cibo per prematuri di basso peso, è stato imposto dall’industria come il cibo più “adatto” al neonato.
 In realtà intorno al sesto mese di vita, l’intestino del lattante è ormai maturo e in grado di digerire tutti i nutrienti introdotti con l’alimentazione. Inoltre al sesto mese, quando l’alimentazione complementare viene proposta, il rischio di soffocamento è praticamente nullo. 
I produttori di baby food e i Pediatri vecchio stampo consigliano di introdurre gradualmente alimenti differenti per evitare o ritardare l’insorgenza di allergie alimentari. A oggi, però, non ci sono evidenze scientifiche che confermino i benefici riguardanti l’introduzione ritardata di sostanze allergizzanti o del glutine. Sia le allergie alimentari sia la celiachia (l’intolleranza al glutine) non possono essere evitate semplicemente ritardando o, al contrario, introducendo molto presto determinati alimenti.

Sicurezza e rapporto costi-benefici

La pubblicità decanta la sicurezza dal punto di vista chimico e microbiologico dei cibi per l’infanzia, ed è l’esistenza di direttive europee secondo le quali i prodotti per l’infanzia non devono contenere alcuna sostanza in quantità tale da poter nuocere alla salute di lattanti e bambini (CE 1881/2006 e direttiva 2006/125/CE, che disciplina gli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia)  che ci dà questa garanzia, non i processi produttivi in se. In altre parole la produzione industriale ci garantisce che non “peggiora” i cibi naturali!!.
Poi c’è il rapporto costo-beneficio. Il costo dei baby food è spesso elevato, nonostante le differenze nutrizionali tra i vari marchi siano minime. Infine, ci sono aspetti negativi nell’uso del baby food? Sicuramente quello che viene meno con il loro utilizzo è il valore emotivo ed evolutivo delle preparazioni casalinghe e la possibilità del bambino di manipolare i cibi. Nel primo anno di vita, infatti, i bambini imparano a conoscere gli alimenti attraverso vista, tatto, gusto, olfatto, oltre che tramite la loro consistenza. Tuttavia questo è possibile solo se sono i genitori a preparare in casa i pasti. Con i baby food, l’introduzione del cibo diventa un gesto meccanico e guidato da mamma e papà e il bambino non potrà sviluppare l’autoregolazione, l’autocontrollo e quindi la percezione di fame e sazietà. Non potrà nemmeno imparare a usare le mani e ad armonizzare i movimenti di queste con il suo appetito. Conoscerà solo gusti preconfezionati e omogenei, diverrà un frequentatore di fast food. Non conoscerà ne apprezzerà i sapori diversi di tutte le varietà di alimenti, non ne conoscerà le varie consistenze: da adulto preferirà cibi passati, di scarsa consistenza con conseguenze sulla salute dell’apparato masticatorio, scarterà ogni pelletta di pomodoro che gli capiterà, non mangerà uva perché ci sono i semi ecc. ecc. un vero disastro!

Se andiamo a vedere dal punto di vista nutrizionale un omogeneizzato acquistato al supermercato si vede che non è più completo di una preparazione casalinga: contiene dal 20 al 30% di carne o pesce, acqua di cottura, a volte meno del 30% di verdure, amido di mais o farina di riso e olio di semi di girasole.
Con i cibi preparati in casa non ci sono percentuali standard e gli ingredienti possono essere di qualità migliore. Il bambino introduce ciò che gradisce nella quantità desiderata. Sarà cura di ogni genitore portare in tavola un’ampia scelta di cibi: in questo modo non importa quante proteine o carboidrati contiene il singolo pasto, perché un’alimentazione varia accompagnata dal latte materno è sufficiente a soddisfare le esigenze energetiche e nutrizionali.
Molto prima che il bambino inizi l’alimentazione complementare è buona norma che i genitori si interroghino sulla propria alimentazione e correggano eventuali abitudini poco salutari. L’ideale sarebbe seguire un’alimentazione varia, ricca di frutta (fresca e a guscio), verdura, olio extravergine d’oliva, cereali, legumi, uova, carne, pesce (per chi segue un’alimentazione onnivora) e poco sale. Scegliere cibi freschi, selezionarli in base alla stagionalità e variare spesso i metodi di cottura completeranno il quadro. Così le preparazioni casalinghe saranno idonee anche per i più piccoli.